In questa pagina ci sono le frasi e citazioni più significative tratte da “Il dolore” di Marguerite Duras, un romanzo autobiografico che narra l’attesa del ritorno dei deportati dai campi di concentramento
“Io, sono riuscita a vedere la fine della guerra. Devo fare attenzione: che torni, niente di straordinario. La pura normalità. Non farne io qualcosa di straordinario. Straordinario è quello che non ci si aspetta. Bisogna che sia ragionevole: aspetto Robert L. che deve tornare.”
Il dolore, Marguerite duras
È terribile. – Lo so, dice D.. – No, lei non può saperlo. – Lo so, dice D., ma si sforzi, niente è impossibile.” Per me tutto è impossibile. Però fa bene avere braccia che ti stringono. La situazione può sembrare migliore, persino. Una boccata d’aria respirabile.
Il dolore, Marguerite duras
“Berlino è in fiamme. Sarà arsa sino alla radice. Fra le rovine, il sangue tedesco colerà. Qualche volta mi par di sentire l’odore di quel sangue. Di vederlo scorrere. Un prete prigioniero ha condotto con sé al Centro un orfano tedesco. Lo teneva per mano, ne era fiero, lo mostrava, spiegava come lo aveva trovato, diceva che quel povero bambino non aveva colpa. Le donne lo guardavano male. Si attribuiva il diritto di perdonare già, di assolvere già. Non era reduce da nessun dolore, da nessuna attesa. Accordava a se stesso l’esercizio del diritto a perdonare, ad assolvere subito, lì, su due piedi, senza saper nulla del loro odio, terribile e buono, consolante come la fede in Dio. Di che veniva a parlare? Mai un prete è apparso così fuori luogo.”
“Non odio più i tedeschi, quello che provo non è così semplice. Ho potuto odiarli per un certo periodo, tutto allora era limpido, netto, massacrarli tutti, quanti tedeschi erano, sino all’ultimo, cancellarli dalla terra, perché l’accaduto non accadesse più. Ora, fra l’amore per lui e l’odio per loro, non so scegliere. È una medaglia a due facce: su una lui, il suo petto di fronte a un tedesco, dodici mesi di speranza che annegano nei suoi occhi; dall’altra, gli occhi del tedesco che prende la mira. Dritto e rovescio di una sola immagine. Fra i due, devo scegliere: o lui che rotola nella fossa, o il tedesco che rimette il mitra in spalla, se ne va. Non so se devo correre ad accogliere lui tra le braccia e lasciar fuggire il tedesco, o lasciare Robert L. e impadronirmi di colui che l’ha ucciso, bucare i suoi occhi, che non hanno guardato quelli di Robert. Da tre settimane mi ripeto che bisognerebbe impedir loro di uccidere al momento della fuga. Nessuno ha proposto niente.”
Io continuo ad aspettare perché niente è sicuro, forse ne ha per un secondo ancora. Forse morirà di qui a un secondo, la cosa ancora non è accaduta. Così di secondo in secondo la vita lascia anche noi, più nessuna possibilità, poi la vita ritorna, tutte le possibilità ritornano con lei.
Il dolore, Marguerite duras
De Gaulle non aspetta più niente, solo la pace, ci siamo solo noi ad aspettare ancora, è l’attesa di sempre, l’antica attesa delle donne in tutti i paesi del mondo: che gli uomini tornino dalla guerra. In quella parte del mondo dove viviamo vi sono montagne di morti, un carnaio inestricabile. Tutto questo accade in Europa. È qui che si bruciano gli ebrei, a milioni. Qui vengono pianti. L’America sbalordita guarda fumare i crematori giganti d’Europa.
Il dolore, Marguerite duras
Noi apparteniamo all’Europa, tutto questo accade qui, in Europa, siamo chiusi in questo recinto agli occhi del resto del mondo. Intorno a noi, stessi mari, stesse invasioni, stesse guerre. Siamo della razza dei bruciati nei crematori, dei gasati di Maidanek, della razza dei nazisti anche. Funzione livellatrice dei crematori di Buchenwald, della fame, delle fosse comuni di Bergen-Belsen. Una parte di noi sta in quelle fosse, quegli scheletri straordinariamente uguali appartengono a una sola famiglia europea.
Il dolore, Marguerite duras
Chi aspetta la pace non aspetta, aspetta niente. Sempre meno ragioni di non aver notizie. La pace, già la possiamo vedere. È la notte buia che sta scendendo, l’inizio dell’oblio.
Il dolore, Marguerite duras
“Se il crimine nazista non viene allargato su scala mondiale, inteso in maniera collettiva, il deportato di Belsen morto da solo per la sua anima collettiva, per quella coscienza di classe che lo ha spinto a far saltare un bullone della ferrovia una certa notte in un certo punto d’Europa, senza capo, né uniforme, né testimoni, resterà tradito per sempre. Se l’orrore nazista viene considerato un destino tedesco, non un destino collettivo, l’uomo di Belsen sarà ridotto a vittima di un conflitto locale. Una sola risposta per un tale crimine: trasformarlo nel crimine di tutti. Condividerlo. Come si condivide l’idea di eguaglianza, di fraternità. Per sopportarlo, per tollerarne l’idea, condividere il crimine.”
Il dolore, Marguerite duras
Non lo riconosco. Mi guarda, sorride. Si lascia guardare. Una fatica soprannaturale nel suo sorriso, la fatica di essere arrivato a vivere sino a questo momento. E’ un sorriso che improvvisamente riconosco, ma lontano, come lo vedessi in fondo a un tunnel. Un sorriso confuso. Si scusa di essere ridotto così, un rifiuto. Poi il sorriso scompare. Torna a essere uno sconosciuto. Ma ora so che quello sconosciuto è lui, Robert L., nella sua interezza.
Il dolore, Marguerite duras
La stessa camera. Vi scrivo nella stessa camera. Oggi, al di là dei vetri, c’era la foresta ed era arrivato il vento. Le rose sono morte in quell’altro paese del Nord, una a una, ghermite dall’inverno. È buio. Non vedo più le parole tracciate. Non vedo che la mia mano immobile che ha smesso di scrivervi. Ma sotto la finestra il cielo è ancora blu. Il blu degli occhi di Aurélia sarebbe stato più scuro, vedete, soprattutto la sera, avrebbe perso il suo colore, sarebbe diventato oscurità limpida e senza fondo.
Il dolore, Marguerite duras